"Il Rito" degli Instabili Vaganti: il sunto di dodici anni in giro per il mondo
BOLOGNA – Dopo migliaia di chilometri percorsi su e giù per il globo (che è sferico e non piatto, così tanto per ricordarlo…) ad inseguire aerei, performance e festival, e dopo sette sessioni di lavoro internazionale condivise con realtà artistiche di altri Paesi, gli Instabili Vaganti hanno messo un punto a questi primi loro dodici anni di peregrinare (che certamente non si fermerà ma avrà altri sbocchi e sviluppi) dal Messico all’India, dall’Uruguay alla Corea del Sud, e non solo. Il duo, Nicola Pianzola e Anna Dora Dorno, sono sempre in azione, in fermento, in movimento, ribollono di idee, con le valigie sempre aperte, pronti nuovamente a salpare. Ed eccoci al “Rito” parte conclusiva anche del festival PerformAzioni sviluppatosi all’interno dell’Oratorio San Filippo Neri.Dal loro vedere, toccare con mano, assaggiare diverse culture, tastare e testare, gli Instabili (l’instabilità è la loro forza e ricchezza) ogni volta hanno riportato a casa, come ricordo, come metodologia di lavoro, come scambio fattivo di esperienze e linguaggi, come studio e approfondimento tecnico, nuovi materiali che, per accumulo e stratificazione si sono delineati e ammassati come veli l’uno sull’altro arrivando al prodotto-progetto finale che è la fotografia di questi anni, il mix colorato e sacro di Paesi lontani, il report artistico di chi ha deciso che fosse la strada il suo palcoscenico, l’on the road il suo teatro preferito.
Materiali, odori, suoni, colori, atmosfere tutto centrifugato, ogni step che rimanda ad altri luoghi, altri panorami, diversi orizzonti. Così ne è uscito un corollario di azioni che richiamano la sacralità intesa universalmente, quelle sensazioni, quel respiro e alito che spira e soffia tra cielo e terra senza saperlo decifrare, decriptare, spiegare fino in fondo. Se le azioni fisiche, corredate da filastrocche o un recitar cantato o ancora in lingua inglese, sono affidate a Pianzola, la sua danza, il suo teatro-danza, per la Dorno invece si apre il canale dei canti popolari tradizionali. Buio e luce fioca, campane tibetane, nel centro della sala un cerchio di terra bruna da iniziazione, candele, lumini, una preghiera sfocata e bruciacchiata ruota in loop. Ogni azione è portata all’eccesso, allo sfinimento uditivo e fisico come un mantra che fa cadere in estasi alla ricerca del Nirvana: “Possano le ossa mie restare intatte nel fodero di carni compatte, fino all’ora rimasta intatte in quel corpo che muore si dibatte in cui la pelle come vetro per l’anima traspare”.
Siamo in ascolto, qui si celebra il segreto e il mistero indecifrabile della morte, del trapasso, dell’Aldilà, il passaggio ultimo. Ed a step (forse mancano dei ganci, dei collegamenti tra un quadro e l’altro per rendere il tutto più fluido) si procede in una sorta di salvifico Nome della Rosa incappucciati (linguaggio molto arcaico e lontano) o Sposa Cadavere in bianco candido ma con le veletta nera che si dibatte nel riso (il matrimonio ma anche la fertilità) prima che parta il video, in rigoroso elegante bianco e nero, della Notre Dame vagante per un cimitero. Dentro, fagocitata e aggrovigliata, c’è la memoria individuale, quella storica e infine quella antropologica. E poi i materiali, la terra, il riso, l’acqua, il fuoco, e i colori, il rosso, il bianco, il nero, come un vortice, come una vertigine. Tutto è maestoso, enfatico, monumentale, carico (a tratti troppo) di pathos, le luci, le musiche a sottolineare, una performance, anche fisica, tutta giocata sulla ridondanza rituale, sul battito, sul calpestio ritmato e tamburellato, quasi orgiastico, al sapore biblico e altamente simbolista, certamente materico. Ne scaturisce un lungo racconto sulla morte e sulla sua imperscrutabilità, molto estetizzante, perfetto nelle sue ambientazioni. Adesso che questo lungo ciclo si è concluso, aspettiamo gli Instabili in un lavoro più personale, più urgente, più sentito. Se nel “Rito” c’era da mettere a frutto le esperienze caleidoscopiche che li hanno attraversati in questo decennio in giro per il mondo, ora è il momento, anche e proprio per le esperienze portate a compimento, di intraprendere una nuova e netta via.
Tommaso Chimenti 06/06/2019