Made in Ilva arriva a Ravenna
Ospitata presso una società che si occupa di sicurezza, la performance di Instabili Vaganti su una tra le aziende più controverse del panorama industriale italiano, apre la Stagione dei Teatri di Ravenna.
Succede raramente che uno spettacolo teatrale coincida con quanto sta avvenendo, in un preciso momento, all’interno della società civile (con una sincronicità che diventa in certo qual modo straordinaria solo perché non è stata pianificata). Il diritto della popolazione alla salvaguardia della salute, contenuto nella Costituzione alla pari del diritto al lavoro, entra in questi giorni in rotta di collisione – con l’accordo Ilva/Mittel – a Taranto. Una città ove coesistono due realtà: l’enorme sito industriale sede dell’Ilva e la città stessa, portuale e preesistente alle acciaierie. Due realtà che hanno cercato a lungo un dialogo, che non si è concretizzato in risposte soddisfacenti per entrambe – come quasi sempre accade quando i costi per una produzione industriale futura meno inquinante sono considerati troppo alti e si sottostima il bisogno collettivo per una migliore qualità di vita. D’altro canto, la mancanza di alternative occupazionali credibili, mai implementate, espone i lavoratori all’eterno ricatto: la sopravvivenza economica barattata con la sudditanza alle regole capitalistiche – soprattutto se in gioco ci sono i grandi numeri.
Tutto ciò è emblematicamente rappresentato nello spettacolo Made in Ilva di Instabili Vaganti, dove un moderno Charlie Chaplin di Tempi Moderni è alle prese con i ritmi totalizzanti e sclerotizzanti del lavoro in fabbrica. Un corpo sempre in movimento, il suo, che rimanda alle immagini espressioniste del film culto del lontano ‘36. La musica accompagna o incalza i vari momenti della giornata lavorativa mentre la mente dell’operaio va lentamente in cortocircuito. Neanche i sogni riescono a librarsi in volo. La ripetitività dei gesti può portare all’assuefazione ma il pericolo è sempre in agguato e l’errore umano è comunque e sempre la causa principale – secondo l’azienda – dei guasti o degli incidenti. Non sono mai la mancanza di sistemi di sicurezza adeguati (o delle manutenzioni necessarie) all’origine dei disastri – che rimangono spesso impuniti. Emblematico in questo senso il luogo scelto per la messinscena dello spettacolo e doppiamente carico di significati – la Nuova Olp, azienda situata nell’area industriale di Ravenna, è infatti un’impresa che si occupa proprio di sicurezza.
Le proiezioni delle immagini dell’Ilva, sul muro all’interno del capannone, danno maggiore profondità allo spazio scenico e si sovrappongono all’azione di Nicola Pianzola che, con l’ausilio di pochi oggetti, riesce a rendere credibile e avvincente questa immersione nel mondo delle acciaierie. L’azione, sempre sottolineata da un efficace disegno luci, è altresì accompagnata dalla voce suadente o incalzante di Anna Dora Dorno, che ne detta i tempi unitamente all’ottima colonna sonora. La sveglia all’alba e i viaggi verso la fabbrica (spesso gli operai dell’Ilva non vivono a Taranto), la ripetitività delle azioni, gli incubi, prendono tutti forma sul nastro d’acciaio attraversato da un corpo sempre più martirizzato che si avvicina pericolosamente al limite della sopportazione umana. Le notizie corrono e l’inevitabile accade: i morti diventano numeri spersonalizzati, sminuiti del loro drammatico contenuto umano. “Non può essere lui”, viene da pensare: “l’avevo appena incontrato”. All’incredulità succede la consapevolezza di essersela cavata, anche se resteranno le cicatrici psicologiche dell’accaduto. Sdrammatizza e dona una sensazione di levità l’immagine dell’angelo – evaporato in cielo – che pare correre tra le nuvole, incurante dei drammi umani.
Uno spettacolo che sottolinea la distanza tra la pubblicità di questi luoghi di lavoro, presentati come idilliaci grazie a una meccanizzazione avanzata, e la dura realtà di tutti i giorni fatta di alzatacce, rientri a casa quando è già notte, turni asfissianti spesso senza pause, che riempiono la vita impedendoci di viverla. Si lavora per vivere o si vive per lavorare? Una dicotomia che non lascia scampo e soprattutto non lascia spazio ad altro.
Ancora una volta, Instabili Vaganti e il Teatro delle Albe riescono a sorprenderci, anche con il contributo e la disponibilità del titolare della Nuova Olp – nome che involontariamente rimanda ad altre sofferenze. Le Albe e Nicola Pianzola/Anna Dora Dorno sono riusciti a portare il teatro, questo teatro, in un luogo di lavoro, dove operai e impiegati si sono trasformati in spettatori compartecipi unitamente a un variegato pubblico che ha riempito gli spazi disponibili con un’attenzione e un interesse per lo spettacolo che non si è attenuata nemmeno dopo i calorosi applausi finali.
Resta la consapevolezza che un altro mondo è forse possibile – o che potremmo almeno cominciare a sognarlo.