Recensione di John Swedenmark per Arbetet

28 agosto 2012

Scena di lavoro e di lavoro sul corpo

Poche cose possono essere così irritanti come la rappresentazione del lavoro come punizione infernale. Ma il gruppo italiano di ricerca Instabili Vaganti riesce a farlo con onore intatto nella performance “L’eremita contemporaneo”. Un operaio siderurgico tiene la scena per un’ora e con parole e gesti ripetitivi racconta di una vita da incubo, giorno e notte senza possibilità di riscatto. La solitudine è impressionante. Si sente così male da rendersi conto che non ha più un volto- “ mentre voi (puntando gli spettatori) voi avete tutti la stessa faccia.” Forse questa faccia viene rimpiazzata con la maschera da saldatore con la quale ondeggia? La ragione per la quale lo spettacolo è convincente è che, la fabbrica sulla quale si basa la piece – l’ILVA – è veramente un luogo terribile, che ignora ogni legge sulla salute e la sicurezza. Nicola Pianzola compie uno sforzo enorme con la sua espressività e le sue azioni su una grande scala di metallo, coperto da video proiezioni, con una musica a volte ripetitiva a volte selvaggia. Molto presto è coperto dal sudore e disperato per davvero. Sono le parole a essere tanto magiche. Queste parole provengono veramente dalle interviste con i lavoratori stessi? Ho rivolto a Nicola questa domanda durante una chiacchierata allo STOFF Festival, un interessante festival alla Culture House di Stoccolma, con artisti e performance provenienti da tutta Europa. Bene, ammette. Certamente ci sono parole degli operai alla base, a sicuramente loro possono riconoscersi, ma il testo è anche liberamente ispirato ai testi del tedesco Peter Schneider e alle poesie del poeta Luigi Ruscio, che è stato operaio in Norvegia. Ho colto anche l’opportunità di chiedergli della somiglianza tra il taylorismo nei luoghi di lavoro e del suo deliberatamente ripetitivo linguaggio corporeo. Si, dice Nicola. Dopo la mia pratica e il mio allenamento, posso disegnare un corpo che è così oppresso da diventare non-organico. Credo che si tratti di una diretta immagine del lavoro industriale. Più che un lavoro, sul palco, c’è un richiamo alle esperienze dei lavoratori e l’affermazione di una somiglianza interiora, profonda. Dalla quale si può venire respinti o essere affascinati.