Recensione di Luciano Uggè per Traiettorie

11 Ottobre 2019

THE GLOBAL CITY DEGLI INSTABILI VAGANTI

Avendo seguito l’intero processo produttivo, nell’imminenza del debutto presso il Teatro Nazionale di Genova dell’ultimo spettacolo della Compagnia Instabili Vaganti, si ha l’occasione di assistere alla prova generale.
Nella Sala Mercato di Genova, in una sala ancora vuota, dove le uniche presenze – a parte i performer – sono i tecnici impegnati in sala di regia o nelle riprese di un video, è interessante scoprire la forma definitiva di una performance che ha già cambiato molte pelli, presentata al termine di un workshop, con una forma corale, a Bologna in primavera; poi con Dorno e Pianzola sul palco a Montevideo; e, ancora, in forma monologante a Cascina in settembre.
Superati gli inevitabili contrattempi iniziali, lo spettacolo procede con regolarità e continuità mettendo in luce la minuziosa preparazione di una serie complessa di movimenti scenici, anche se l’attuale ensemble di undici elementi ha avuto solo pochi giorni per rodarsi – come quasi sempre accade nel teatro attuale, dove le prove pare non possano protrarsi oltre un paio di settimane. Si notano, tra le novità, un discorso coreografico che ben si amalgama con il contenuto drammaturgico e i bei video (il visual mapping è stato affidato ad Alex Pietro Marra) che, proiettati su reti metalliche posizionate frontalmente al pubblico a metà palco, danno profondità al campo d’azione dei performer.

La sera del debutto, il giorno successivo, sembra sia la metropolitana di Città del Messico ad accoglierci con il suo ritmo incessante, i colori accesi e la frenesia dell’ora di punta.

The Global City è un collage di ricordi di Anna Dora Dorno (regista e interprete) e Nicola Pianzola (autore e interprete): incontri occasionali si alternano a narrazioni legate alla contingenza di eventi propri della nostra contemporaneità – quale l’obbligo per intere popolazioni a rimanere separate da linee immaginarie eppure invalicabili. Si scoprono comportamenti assurdi, per la nostra mentalità, ma partecipati da enormi moltitudini, così come la pericolosità di certi luoghi e l’impossibilità di agire e muoversi liberamente.
Il canto struggente di Anna Dora Dorno accompagna e sposa la solitudine dell’uomo coreano che non si vuole arrendere in nome di un universale ansito di libertà, di quel volo pindarico che Icaro tentò per innalzarsi fino agli dei. Ma anche Genova è presente, in questa prometeica fuga dalla distopia che ci circonda, ripresa dagli elicotteri quel lontano – eppure mai così attuale – 21 luglio 2001. Il numero di un ricordo (uno degli elementi-chiave della drammaturgia) e il megafono che ossessivamente lo ripropone riportano a noi la pesante memoria di quei giorni e della morte di Carlo Giuliani e, allo stesso tempo, la volontà e il diritto di manifestare contro questo sistema politico ed economico, perché “un altro mondo è possibile” (o forse no, a causa del corollario del cambiamento climatico che sembra inevitabile)

Le visioni si succedono, inserendosi all’interno di una struttura – fisica e visiva – ricreata con i video girati da Dorno e Pianzola nelle megalopoli visitate, pregni dei rumori e dei colori di spazi così simili gli uni agli altri, eppure popolati da genti con abitudini, credenze e lingue differenti. Incontri occasionali si allineano accanto a esperienze specifiche, così come la danza si mescola con le musiche originali (dell’ottimo Riccardo Nanni) e il disegno luci (di Dorno) – sempre ben amalgamati e pertinenti. Anche l’uso del multilinguismo per attualizzare luoghi e situazioni sembra non comportare particolari problemi alla visione, anzi segnala l’urgenza di internazionalizzazione dell’opera teatrale.
Da rilevare, d’altro canto, che l’eccessiva lunghezza di alcune scene (e la lentezza di alcune entrate e uscite) tende ad allentare la tensione emotiva e la continuità dei quadri – che è parte integrante di questo spettacolo. Interessante l’uso del coro, soprattutto a livello di gestualità e movimenti nello spazio, dato che è in grado di allargare il campo visivo dando profondità alle scene.
Uno spettacolo complesso che tenta di unificare e assemblare vari linguaggi – quello visivo, la danza, la recitazione e la musica – che è parte integrante dello spettacolo e ne segna il ritmo, sottolineandone ogni azione ma anche ogni emozione.
Al termine ci si accorge – se ci si è lasciati andare – di avere effettivamente viaggiato in compagnia di Anna Dora, Nicola, Claudia, Antonio, Rosanna, Marco, Francesca, Marianna, Roberta, Giulio e Carolina. Si sono attraversati luoghi reali e mondi fantastici, non perché simili alle Città invisibili di calviniana memoria (seppure citate) bensì perché i ricordi amalgamano, i sogni offuscano, l’inconscio riassembla. E alla fine ci rimangono anche, come i sassolini di Pollicino, a tanti piccoli elementi di riflessione sulla diversità culturale che ci circonda e sulla potenzialità di farne un motivo di arricchimento collettivo.