Intervista di Maria Francesca Stancapiano per La Nouvelle Vague

29 Luglio 2019

Il Solaris in una Global City. Intervista alla compagnia Instabili Vaganti

The Global City, il nuovo spettacolo di Instabili Vaganti prodotto dal Teatro Nazionale di Genova in anteprima mondiale in Uruguay

Instabili Vaganti, compagnia nata nel 2004 grazie all’impegno di Anna Dora Dorno, regista, performer e artista visiva, e Nicola Pianzola, performer e drammaturgo, gira con precisi intenti per varie parti del mondo in “non luoghi” carpendone le energie, le tradizioni, gli usi, i costumi e tatuandoli negli spettacoli in site- specific (un aspetto essenziale della poetica della compagnia). Siamo alla viglia del debutto mondiale del loro nuovo progetto “Megalopolis” andrà in scena il 16 agosto, in anteprima mondiale, al Teatro Florencio Sanchez di Montevideo, in Uruguay, e replicherà, nell’ambito del Festival, il 18 agosto a Salto e il 19 agosto a Paysandù.
Il debutto nazionale dello spettacolo è previsto per il 9 ottobre 2019, con repliche fino al 12 ottobre 2019, nella sala Mercato del Teatro Nazionale di Genova, una collaborazione importante quindi, quella tra Italia e il Festival FIDAE, che rafforza i legami tra due territori storicamente legati tra loro e che apre a nuove opportunità di collaborazione in ambito culturale.

Ho voluto intervistarli per capire meglio come nasce la performance e quali sono i viaggi anche mentali che lo hanno generato e continuano.

Le cose e gli uomini esistono in sé e per sé ma li si può comprendere soltanto alla luce della loro cultura e questo, Erodoto, già lo aveva compreso.

Usanze, credenze e organizzazione delle società sono alla base della ricerca per capire i caratteri delle diverse popolazioni. La domanda che però mi attanaglia è l’uomo continua a interrogarsi sul male che genera? È consapevole, una figura magnifica come l’essere umano, di poter abituare la propria esistenza al male?

Anna Dora. Credo che l’uomo non sia realmente consapevole altrimenti se lo fosse si comporterebbe in maniera diversa. Mi viene in mente il tema che avevamo preso in considerazione durante il percorso di Performazioni 2018: agli attori provenienti da diversi parti del mondo veniva chiesto se era possibile creare uno spazio “buono” di lavoro, e quindi un’eutopia. L’uomo non è
abituato a questo e deve fare una riflessione per arrivare al buono anche in ambito teatrale ponendosi la domanda “È possibile creare qualcosa di buono?”.

Siete stati in Svezia, un’affascinante realtà nordica situata nella costa occidentale del lago Mälaren, vicino al mar Baltico, una nazione tra le più pulite ed incantevoli d’Europa caratterizzata da paesaggi mozzafiato, città affascinanti e ricche di cultura dove si respira un’atmosfera magica, dove lasciarsi incantare da quell’aria semplice e naturale tipica di una realtà così lontana dal caos urbano dove abbondano bellezze naturali e terre selvagge accessibili a tutti.

Quanto è stato importante per il vostro lavoro respirare la genuinità, la possibilità di un “panismo”, un creare una fusione tra l’elemento naturale e quello più specificatamente umano?

Anna Dora. Sicuramente lavorare in un territorio e spazio teatrale “buoni” è stato necessario per vedere meglio la realtà da lontano così da poter creare, appunto, uno spazio eutopico. Altre volte l’apporto che ti viene dato dall’ambiente esterno aiuta perché offre un modo di vedere le cose in maniera differente.
Tokalinga, un paesaggio immerso nei boschi, e laghi, ci ha consentito di lavorare non soltanto in sala ma anche negli spazi naturali e scoprire ciò che è biologico soprattutto negli attori, anche se parliamo, nel nostro nuovo lavoro, di inquinamento. La costruzione, dunque, parte dai ricordi del nostro vissuto.
Il progetto ha visto i primi germogli in una residenza rurale in Francia, (con la décentralisation del 1982). Qui il teatro si faceva soprattutto nelle campagne e abbiamo lavorato in una sala vuota dove entrava solo la luce del sole e gli autoctoni ci hanno detto che avevamo portato la città anche qui nella campagna.

Nicola. Il luogo intorno l’accademia lo chiamo Solaris perché c’è una porzione di paesaggio che io inscrivo da un certo punto a un altro. Come in un film di Tarkovskij, dove il protagonista ricorda un paese in cui abitava in Russia; la nebbia ai confini non gli fa capire se si trattasse di un luogo reale o meno. Per me Tokalinga è esattamente quella confusione e mi pone dei dubbi, dei ricordi, delle torture, angosce che poi mi danno la possibilità di purificarmi e di generare il lavoro in sala, ricordando le megalopoli.
Io credo che noi (come compagnia) abbiamo sentito la forte necessità di parlare di forti casistiche sociali come l’ Iva di Taranto, alla questione dei desaparecidos messicani perché, almeno io, Nicola, sono sempre in contatto con la parte maligna dell’essere umano che utilizzo molto nel lavoro e che delle volte sente il bisogno di portare all’attenzione argomenti di questo tipo proprio perché l’uomo si abitua al male, l’uomo è consapevole della propria inclinazione al male.

Qual è il ruolo del teatro in questo?
Anna Dora. Chi fa arte ha questa consapevolezza del male perché sa trasformarla in qualcosa di bello e poetico e, dunque, credo che sia principalmente questo il ruolo del teatro: il processo dal brutto al bello che genera riflessione. Dunque: riabituarsi al bello e al poetico.

Voi girate il mondo e ne raccogliete informazioni, create scambi di tradizioni e vi impregnate di nozioni nuove che rimandate nei vostri spettacoli. Allo stesso modo i drammaturghi Bovell e Watkins fanno lavori simili ai vostri: raccolgono notizie in site-specific abbandonati (fabbriche, ospedali, case disabitate) e dopo scrivono drammaturgie con distacco, quindi inventando una realtà su fatti reali in cui si crea il gioco realtà e finzione…

Anna Dora. È esattamente ciò che succede in questo spettacolo, in cui si slitta dalla realtà alla finzione. Non solo da un punto di vista testuale e visivo.
Nicola. Quando evochiamo i nostri ricordi questi li spostiamo o in luoghi abbandonati o traumi che vengono poi trascritti. E delle volte mi stupisco di come tutto ciò che è legato al male abbia la meglio perchè sono episodi che rimangono scolpiti nella memoria più di quelli belli.

THE GLOBAL CITY il titolo del vostro prossimo progetto che ha mosso i primi passi all’interno del festival Performazioni. Come è iniziato il tutto?
Nicola. Anna Dora, durante un viaggio in Messico, era pervasa dalla confusione e da un forte senso di smarrimento perché poco era il tempo di percorso fra varie città. Di conseguenza non entravamo molto in sintonia con le culture. Ascoltando il senso di turbamento è nata l’esigenza di dare aria a un nuovo progetto, quello di raccontare una città enorme che ne racchiudesse tante.
Le megalopoli sono quartieri che poi diventano microcosmi. Queste ultime portano a sconvolgerti in un attimo, solo prendendo una metro, e facendoti scoprire una realtà completamente diversa, magari dalla periferia al centro in poco tempo.

Nicola non è solo in scena.

Nicola. Eh si…ho una massa che attraversa con me dei ricordi vissuti diversamente. A volte li vivo come degli estranei come la folla quando ti immergi nelle città, a volte come dei compagni di viaggio. Premetto che megalopolis è nato con una massa, fino poi a trovare solo ospiti di alcuni delle nostre tappe. Per esempio in Svezia erano tre e a Genova, il 9 Ottobre, giorno di debutto italiano, saremo in 11, un coro, se ci pensi, molto forte. Las cosa che mi fa sorridere è che si respira anche un passaggio generazionale, ragazzi più giovani ma accomunati tutti dalla tematiche del viaggio.

Weiss nel 1967 ha introdotto il linguaggio multimediale nel teatro fino poi ad arrivare (saltando altre generazioni e nomi importanti) a Milo Rau il quale introduce il linguaggio multimediale per fare in modo che il teatro provochi emozioni reali. Possiamo dire che il vostro linguaggio audiovisivo nel vostro teatro sia di supporto sia per il significato che per il significante?

Anna Dora. Sicuramente. Mettiamoci poi la componente che Nicola viene da un percorso di forte fisicità, dove il corpo era al centro dei suoi studi. Io invece vengo da un background di arti visive. Per noi, quindi, era importante trovare una fusione tra i due linguaggi. In questo spettacolo in modo particolare perché i video che si vedranno sono stati girati ( poi rimaneggiati) nei luoghi che abbiamo abitato, come appunti visivi per aiutare a fermare determinate situazioni.

Debutterete il 16 agosto a Montevideo al Teatro Florencio Sanchez e in Italia il 9 Ottobre (fino al 12) al teatro nazionale di Genova. Dentro a un teatro e non più in un site-specific. Come mai?

È interessante riportare tutte le sensazioni catturate in diversi luoghi e esplorate, quindi, in site specific e poi riportarle in teatro, in una scatola nera da cui escono i ricordi, le memorie. In questo caso, poi, è come esercitare un rapporto distopico della città globale, far viaggiare gli spettatori tra realtà e finzione. “Io sono tutte le città in cui sono stato”.