Sulla strada da Tampico a Montevideo un teatro per la fine del mondo

Hystrio Anno XXIX 2/2016

Tra pick-up come carri armati e fabbriche sventrate e trasformate in palcoscenico, c’è ancora spazio per ricordare i desaparecidos e per resistere al degrado:
con il Teatro Para el Fin del Mundo, festival itinerante tra Messico e Argentina.

di Nicola Pianzola

Strade semideserte incendiate dal caldo umido soffocante, percorse solo da giganteschi pick-up dai cristalli oscurati, dove le stazioni di servizio, che si alternano ai minimarket della catena OXXO, costituiscono la principale architettura urbana, dove ogni sera all’imbrunire, insieme all’oscurità cala un tacito coprifuoco. Tutto lascerebbe pensare al set cinematografico di una pellicola americana sul narcotraffico, ma qui a Tampico, una delle città più violente di tutto il Messico, nulla è finzione, nemmeno il teatro.

E’ in questo contesto di degrado ed alto rischio che ha inizio nel 2012 Il Festival Internazionale Teatro Para el fin del Mundo. Come ci racconta il suo direttore artistico Angel Hernandez, TFM nasce con l’intento di contrastare i fenomeni di violenza occupando spazi abbandonati e facendoli rivivere con eventi teatrali e performativi creati o adattati alle strutture in disuso disseminate nelle ex zone industriali e nella periferia della città. A Tampico sono molti gli edifici e le fabbriche, che sono stati abbandonati in differenti periodi storici: prima per il passaggio da un’economia incentrata sui prodotti ittici locali all’industria del petrolio, poi a causa del controllo della criminalità organizzata e le minacce dei narcotrafficanti.
Così, oggi, in questa incantevole laguna, proliferano i coccodrilli mentre molti dei suoi abitanti fuggono alla ricerca di un futuro migliore negli Stati Uniti, sperando di riuscire a passare “dall’altra parte”.

Dopo aver ascoltato le storie di alcuni collaboratori del festival, comprendiamo chi ha fatto questa scelta. Tutti questi ragazzi hanno in famiglia almeno un caso di sparizione forzata e molti di loro sono stati arrestati e tenuti in cella per settimane solo perché manifestavano pacificamente. Tutto ciò ci viene raccontato con una pacatezza disarmante, mentre attraversiamo strade dove sono state compiute atrocità sconvolgenti. A soli due isolati dalla casa in cui siamo ospitati, sono stati assassinati alcuni giornalisti, i cui cadaveri sono poi stati trascinati e lasciati in strada.

Non possiamo che ammirare questi ragazzi, che collaborano alla realizzazione del festival come volontari. C’è chi lavora come autista nelle linee urbane, si alza alle 5 di mattina, e dopo aver guidato per 8 ore, accompagna gli artisti in auto dalla residenza agli spazi di lavoro.
E’ in questo scenario, dove l’arte sembra essere superflua per la lotta alla sopravvivenza quotidiana, che il teatro esprime tutta la propria necessità, tenendo insieme una comunità di persone che non accetta di essere sottomessa ad un sistema di potere corrotto e ad una strategia del terrore che fanno naufragare e cercano di ostacolare ogni progetto culturale. Ed è proprio da uno di questi progetti lasciati incompiuti, un parco tematico nella laguna del Carpintero, dove giace un Boeing 727 in stato di abbandono, che inizia la nostra avventura nel circuito di TFM, un viaggio che ci porterà da Tampico a Montevideo e ancora a Buenos Aires. Il festival in fatti, quest’anno, grazie alla collaborazione di alcuni collettivi artistici che hanno preso parte alla manifestazione negli anni precedenti, esce dai confini messicani per sbarcare con due prime edizioni anche in Uruguay e Argentina.
E così in un’afosa mattina di novembre ci ritroviamo di fronte al primo aereo decollato da Tampico, un gigante del cielo sconfitto dall’incuria, dentro la cui fusoliera sventrata dai sedili, le giovani coppie di ragazzi che escono da scuola si danno appuntamento per trovare un po’ di intimità.
Con queste ali ferite, prende il volo un nuovo processo di creazione artistica che sviluppiamo ad hoc per il festival, nell’ambito del nostro progetto di ricerca MAGALOPOLIS. Sono stati gli organizzatori stessi di TFM a farci capire che presentare il nostro nuovo spettacolo Desaparecidos#43, sulla vicenda dei 43 studenti di Ayotzinapa scomparsi nel 2014 in Messico, sarebbe stato troppo rischioso, e ci hanno consigliato di creare una nuova performance attraverso un workshop nei suggestivi spazi dell’aeromobile. Non possiamo che accettare i consigli di chi, purtroppo, ha perso 3 compagni di lavoro e collaboratori del festival, che risultano tutt’oggi scomparsi. D’altronde fin dal primo giorno di workshop, veniamo interrotti da un pick-up blindato della polizia che ci raggiunge in assetto da “guerra”, con giubbotti anti proiettili e mitragliette puntate contro di noi. Un altro collettivo artistico viene invece sgomberato dallo spazio di lavoro da un gruppo di poliziotti che si presentano con un carro armato! E’ da subito chiaro che qui un teatro sperimentale e politico, che si riappropria dei propri spazi di espressione e che accende i riflettori su questa città tabù, non è visto di buon occhio. Non ci perdiamo d’animo, lavoriamo per giorni nella carlinga polverosa ed infuocata dal sole e finalmente, nel buio della laguna, il Boeing si accende di un’installazione luminosa diventando il nostro palcoscenico ed allo stesso tempo il mezzo che ci fa sorvolare le innumerevoli città presenti nei nostri ricordi, componendo una Megalopoli immaginaria che per un attimo prende il posto di Tampico.
Mentre nella città continua a regnare la paura e la gente di notte è rinchiusa in casa, la nostra performance viene vista da famiglie con bambini e da ragazzi giovani, che fanno parte di quella comunità che non si arrende ad una vita senza cultura. Il viaggio si trasforma presto da immaginario a reale ed atterriamo a Montevideo, una città solare, dove spicca il Cerro, un quartiere popolare su una collina, fondato da anarchici italiani, e dove gli abitanti possono passare anche un anno senza attraversare il ponte che li collega al centro della città. In questo contesto è sorto il parco tecnologico industriale della città, dove in una ex-fabbrica dal tetto sfondato e dalle pareti squarciate ricostruiamo un teatro in occasione della presentazione del nostro spettacolo MADE IN ILVA al festival TFM Montevideo. Non solo i tecnici ed i volontari del festival, a poco a poco, tutti quelli che lavorano nelle vicinanze, pompieri, operai, ci aiutano in questa utopica opera. Qui il pubblico è dei più vari, e coniuga agli abitanti di un quartiere popolare, rappresentanti delle istituzioni, artisti e teatranti del vivace panorama culturale di questa capitale nel sud del pianeta, dove oggi, c’è una situazione completamente diversa da Tampico. Susana Souto, direttrice del festival, è riuscita a portare l’attenzione ed il sostegno della municipalità sulla prima edizione di un festival internazionale che si pone come una valida alternativa ai canali della cultura più istituzionale. In questo clima più disteso possiamo azzardare una tappa del nostro Desaparecidos#43, dato che l’Uruguay, in virtù della sua storia, è stato da subito molto partecipe in questa vicenda, con azioni di protesta e manifestazioni per destare l’attenzione mondiale su questo caso. Dirigiamo un workshop con un gruppo di 30 persone cha spaziano dai 17 ai 47 anni e dove l’emotività dei giovani studenti coetanei dei desaparecidos messicani si unisce ai commoventi ricordi degli adulti che hanno vissuto in prima persona gli scontri con la polizia, quando le sparizioni forzate erano all’ordine del giorno anche in Uruguay. Sulle note dei canti che ricordano le moltissime persone scomparse navighiamo verso Buenos Aires dove il festival invade gli spazi dell’IMPA la Fabbrica, avamposto culturale della città ricco di storia. Qui, durante la crisi, i lavoratori hanno occupato lo stabilimento ed hanno continuato a produrre alluminio, ed oggi i rumori delle macchine fanno da sottofondo agli eventi culturali che accadono nei 4 piani di questa maestosa costruzione. E’ la fine del nostro “recorrido” nel TFM, salutiamo i nostri compagni di viaggio, quei gruppi che abbiamo conosciuto a Tampico ed abbiamo ritrovato a Montevideo e Buenos Aires. Un festival itinerante, come noi, un grido soffocato che da Tampico echeggia in tutto il Sud America, e che grazie alla collaborazione di chi vorrà unirsi a questa esperienza, potrà attraversare altri luoghi, nazioni, continenti, fino a dove dovrebbe spingersi il teatro: fino alla fine del mondo.