India, le bandiere dell’amicizia per le Olimpiadi del Teatro

Hystrio Anno XXXI 3/2018

Nate nel 1993 a Delfi, le Olimpiadi del Teatro condividono con le omonime dello sport lo spirito di amicizia fra i popoli. Per l’ottava edizione, il subcontinente indiano ha fatto da sfondo a 25.000 artisti da 30 paesi. L’impatto con l’India, nel racconto di Instabili Vaganti.

di Nicola Pianzola

«First time in India?» È una delle domande più frequenti che ti vengono rivolte dal capannello di volti sorridenti che si forma intorno a te, mentre attraversi le strade polverose e trafficate delle megalopoli indiane. Per noi di Instabili Vaganti si tratta già della terza tournée nel subcontinente, eppure ogni volta è una scoperta, una sorpresa, una carezza di polvere colorata che ti dipinge la guancia, e allo stesso tempo un pugno allo stomaco, carico di immagini forti, indelebili nella memoria. Così, dopo aver attraversato con i nostri spettacoli Made in Ilva e Il Rito le caotiche megalopoli, e aver goduto del tempo sospeso dei Theatre Village sperduti nella giungla, con il progetto Stracci della Memoria, la nostra costante itineranza diventa olimpica e ci porta nell’evento teatrale più grande dell’Asia: le Theatre Olympics.

Il mega-festival
Fondate nel 1993 a Delfi, per iniziativa del famoso regista teatrale greco Theodoros Terzopoulos, le Olimpiadi del teatro sono la più importante celebrazione mondiale dell’arte scenica e si svolgono ogni due o quattro anni in differenti città del mondo. Il comitato olimpico è composto da registi e direttori artistici di fama mondiale, tra cui il regista statunitense Bob Wilson, il drammaturgo e premio Nobel Wole Soyinka, il direttore giapponese Tadashi Suzuki e tantissime altre personalità di spicco che, insieme alla commissione locale, selezionano le migliori produzioni provenienti da tutto il globo.
25.000 artisti da 30 paesi diversi per un totale di 500 spettacoli e 700 performance in spazi esterni, in 51 giorni di programmazione simultanea in 17 città del Paese. La maggior parte degli spettacoli in cartellone provengono dall’India stessa. Le compagnie locali, in genere molto numerose, sono moltissime e si differenziano soprattutto per la lingua: ci sono spettacoli in hindi, in marathi, in bengali ecc.
Il programma del festival, con le sue caselle colorate differenziate per genere, è una tavolozza di lingue e culture che dipingono una delle offerte più interculturali mai incontrate in un festival. Tanti teatri che in questa occasione si ritrovano sotto una stessa bandiera. Non a caso il titolo scelto per questa ottava edizione è Flag of friendship.
Parlando con noi, anni prima, il direttore della National School of Drama di New Delhi, la principale accademia teatrale del Paese, nonché l’ente organizzatore di questa edizione indiana, aveva definito le Theatre Olympics un “mega festival”.
E come dargli torto! Nell’area dell’Accademia, allestita in occasione del festival con gigantesche maschere teatrali, lanterne colorate, un grande albero dal quale pendono i ritratti dei registi invitati e un bazar che emana profumi invitanti di prelibati piatti tipici, ci capita infatti di incontrare molti amici e colleghi: Pippo Delbono (presenterà La Gioia), Eugenio Barba e l’Odin Teatret (The great cities under the moon), Milo Rau (Compassion, prodotto dallo Shaubühne Berlin), Teatro Potlach (Il filo sospeso), Romeo Castellucci (Giulio Cesare – Pezzi staccati).
La National School of Drama (Nsd) di Delhi diventa la nostra base, un luogo dove restiamo per settimane e, oltre alla replica di Made in Ilva, conduciamo un workshop pratico con una sessantina di studenti e partecipiamo al World Theatre Forum, un simposio che richiama studiosi da tutto il pianeta. Da Delhi partiamo e ritorniamo più volte per portare il nostro lavoro nelle altre città: Patna, Jaipur e infine Mumbai.

Attraverso la provincia indiana
La nostra maratona olimpica ha inizio il 3 marzo a Patna, un trafficato crocevia lungo il Gange, nello stato del Bihar, uno dei più poveri dell’intero Paese. La città ci accoglie con un’esplosione di colori che ci ricoprono il volto e i vestiti: rosa, violetto, giallo, blu, polvere colorata ovunque. È il giorno in cui si celebra l’Holi, una delle più importanti festività indiane, un rito che simboleggia la rinascita e la voglia di resuscitare sotto altra forma, come esseri pieni di vita. Patna ci cattura, traghettandoci nelle colorate bolge brulicanti di persone che danzano, cantano, si spargono reciprocamente del colore sul viso. La sua accoglienza continua anche in teatro, un auditorium di 300 posti completamente pieno.
Dall’entusiasmo del pubblico, dalla loro vivida curiosità durante il questions & answers che segue lo spettacolo, capiamo subito quanto sia importante portare un teatro sperimentale, dai contenuti politici e sociali, in quei centri che normalmente non sono raggiunti da una circuitazione internazionale, concentrata per lo più a New Delhi, Mumbai e Kolkata. Dalle rive del Gange ritorniamo nella capitale, dove l’Abhimanch Auditorium ci accoglie con ghirlande di fiori all’ingresso e una gigantografia della scheda dello spettacolo con le note di regia e la foto di Anna Dora Dorno in primo piano. In India il regista è infatti la figura più importante e vi sono molte donne a ricoprire questo ruolo, tanto che l’incontro Meet the director, dove i direttori di tutti gli spettacoli in programma nella giornata rispondono alle domande del pubblico e dei giornalisti e nell’ambito del quale interviene anche Anna Dora, è tutto al femminile.
Gli studenti della Nsd sono tra i più fortunati di tutta l’India, poiché l’accademia, grazie a una sovvenzione governativa, offre loro gli alloggi, il servizio di mensa e paga loro un salario durante i tre anni di studi. Per questo motivo sono solo 26 gli ammessi a un nuovo anno accademico e arrivano da tutto il Paese, come dimostrano le sostanziali differenze nei tratti somatici e nell’approccio al teatro. Con loro programmiamo un workshop di cinque giorni molto intensi dove ci confrontiamo con le domande dei partecipanti. Alcuni di loro hanno solide radici nelle arti performative tradizionali, altri aspirano a diventare star di Bollywood. In ogni caso, tutti sono mossi da un forte desiderio di conoscere maestri internazionali e approfittare di un occasione come le Theatre Olympics per carpire nozioni e tecniche del teatro occidentale. Una volta terminati gli studi, non faticano a trovare lavoro nel fervido mercato teatrale di Delhi o in quello cinematografico di Mumbai. Molti tornano nelle loro città, dando vita a giovani gruppi teatrali che, però, solo in rarissimi casi si fanno portatori di innovazione nel linguaggio scenico, ancora di stampo molto tradizionale. Solo la nuova drammaturgia è a volte in grado di apportare sostanziali novità e sono tante le collaborazioni tra l’Accademia e gli autori teatrali del panorama contemporaneo, tra cui Sergio Blanco, autore di Thebes Land, che partecipa con noi al World Theatre Forum sul tema Narrative, New Narrative, Post narrative: Making of Newness.
Abbiamo già le valigie pronte, ma ci aspetta una sorpresa: a Jaipur è stato cancellato uno spettacolo e la direzione del festival ci chiede una replica straordinaria di Made in Ilva nel gigantesco auditorium Ravindra Manch. Nonostante il nostro tecnico sia già rientrato in Italia, portando con sé parte dei costumi e dell’attrezzatura necessaria, non possiamo rifiutare una proposta così allettante. Come dicono spesso qui «Everything is possible in India». Troviamo quello che ci occorre nei meandri della Nsd e partiamo alla volta del Rajasthan, regione del Paese tra le più ricche di tradizioni performative. Il timore di entrare in un auditorium da 600 posti svanisce nel silenzio del pubblico che, anche nella città rosa dell’india, alle porte del deserto, riempie il teatro.
Quando siamo in India, la sete di conoscenza degli studenti e la curiosità degli spettatori, che ci attendono fuori dal camerino e, devoti, s’inginocchiano a sfiorarci le caviglie e le ginocchia in segno di rispetto, ci fa riscoprire la forza primigenia del teatro. La scena in India è sacra, e chiunque vi metta piede, dal regista veterano all’impiegato che pulisce il teatro, si china a toccare la ribalta per poi baciarsi le dita, appoggiarle alla fronte, compiendo un piccolo rituale prima di salire sul palcoscenico. E con questa immagine ci prepariamo al rientro in Italia.