Il Rito

Progetto Stracci della memoria
2013

Regia e drammaturgia Anna Dora Dorno
Performer Anna Dora Dorno, Nicola Pianzola
Musiche originali eseguite dal vivo Riccardo Nanni
Video Salvatore Laurenzana
Fotografie Francesca Pianzola
Produzione Instabili Vaganti

Sostenuto in residenza da
BAUHAUS FOUNDATION di Dessau, Germania
GROTOWSKI INSTITUTE di Wroclaw, Polonia
HOOYONG PERFORMING ARTS CENTRE, Corea del sud

La performance fa parte del Progetto Internazionale Rags of Memory

Il ricordo trova la sua giustificazione d’essere fino a quando è presente una coscienza in grado di evocarlo e di renderlo nuovamente attuale, libero dall’oblio della morte, ma ogni nuova evocazione comporta una deformazione dell’azione originale una ri-attualizzazione.

La performance è la più rappresentativa del Progetto internazionale Stracci della memoria, il risultato di un lavoro continuo di ricerca e di elaborazione di materiali performativi provenienti dalla tradizione Italiana e mediterranea e dalle culture dei paesi in cui il progetto è stato ospitato: Corea, Messico, Armenia. Una composizione originale di musica dal vivo, azioni, canti e videoproiezioni che si compone di volta in volta in modo unico e originale in base al contesto e il luogo in cui si svolge lo spettacolo. La scena si struttura in uno spazio che assume il valore simbolico di giardino sacro: tre cerchi di luce nei quali troviamo elementi distinti: roccia, terra, riso. Tre colori essenziali: bianco, rosso e nero. Tre video-proiezioni in cui appare una donna sposa, madre, vedova che rappresentano i tre concetti fondamentali del cammino umano: vita – patos – morte. Un performer compie abluzioni in cui il corpo si riappropria della sua energia materica e della pienezza dei suoi ricordi che si concretizzano in parole simboliche, poetiche che si incarnano nel corpo, risvegliandone la memoria assopita dal letargo del tempo. L’uomo ripercorre il suo cammino, che è quello dell’intera umanità, un viaggio all’interno del proprio animo che anela alla ricongiunzione con la natura e aspira alla sintesi del gesto, della parola, del suono. Un percorso ciclico e ripetitivo che si fissa nell’eternità del rito. Un uomo e una donna svolgono azioni parallele senza mai congiungersi se non in un attimo d’amore che genera pathos, sofferenza, perché presente, reale e come tale costretto a sentire: odore , pensiero, anima, vita, amore, morte, assenza. Un corpo svelato nella sua essenza vitale, rossa, di carne e sangue, fermato nell’istante della contorsione attraverso scatti fotografici proiettati in video, trattenuto in un abbraccio eterno dalla musica dolce di un carillon. Il lutto fa il suo ingresso, come elemento fondante della vita e non come sterile memoria di qualcosa in disuso. La danza generata dai passi rituali diventa ritmo, la melodia del canto una nenia ripetitiva capace di commuovere. Antiche lamentazioni affiorano nel presente: l’esigenza di una nuova ritualità comincia ad apparire nel sogno e resta in sospensione, evanescente come il volto di Euridice, svelato e triste, che nel mito scompare nella nebbia così come nella performance svanisce nell’evanescenza dell’ultima proiezione video. Quel che resta è un vecchio che scherza con la morte perché in fondo tutto finisce, ma qualcosa rimane: il riso che germoglia, la terra che si rigenera, l’acqua che scorre, la vita che rinasce.